[X.03 movimento terzo >> Halle]

2008

ideazione e regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

con Lidia Aluigi, Silvia Calderoni, Sergio Policicchio, Mario Ponce-Enrile, Ines Quosdorf

in video Adriano Donati, Dany Greggio e i gruppi musicali Foulse Jockers (I), Tomorrow Never Came (F), Types of Erin (D) e Bring me to my 2nd buriel (D) 

produzione video Motus & Francesco Borghesi

video production Motus & Francesco Borghesi

riprese Francesco Borghesi, Daniela Nicolò

video compositing Francesco Borghesi (davidloom.net)

text compositing Daniela Nicolò

sound compositing Enrico Casagrande

sound design Roberto Pozzi

musiche dal vivo Ines Quosdorf, Sergio Policicchio, Mario Ponce-Enrile

luci Daniela Nicolò

direzione tecnica Valeria Foti

relazioni Sandra Angelini, Federica Savini, con la collaborazione di Patrizia Bologna

organizzazione e logistica Elisa Bartolucci, Valentina Zangari

consulenza amministrativa Cronopios

produzione Motus, Theater der Welt 2008 in Halle (Germania), Mittelfest 2008, Istituzione Musica Teatro Eventi – Comune di Rimini “Progetto Reti”, Lux-Scène National de Valence (Francia), La Biennale Danza di Venezia con la collaborazione di L’Arboreto di Mondaino, Teatro della Regina di Cattolica, Teatro Petrella di Longiano

con il sostegno di Provincia di Rimini; Progetto Geco – Ministero della Gioventù, Regione Emilia-Romagna; Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ETI – Ente Teatrale Italiano

Motus ringrazia Francesca Spinazzi, Anne Sudmeyer, David Mass, Monica Marotta, Claudia Bock, Hannes Wilhe, Alex Kraft, Florian Von Borrell Du Vernay, Sebastian Utzig, Stephan Reußner, Stephan Rudolph, Cornelia Ricther, Matthias Heckl, Daniel Hermann e Anna Kasten e inoltre tutto lo staff del Festival Theater der Welt che ci ha sostenuto con dedizione e gentilezza.

©END&DNA

Questa versione è stata preceduta da una residenza di circa un mese ad Halle Neustadt. Questa particolare città della ex-DDR ha vissuto, dopo il crollo del muro e della produzione industriale locale, un fenomeno di spopolamento, di fuga dei lavoratori trovatisi improvvisamente disoccupati a causadella chiusura delle grandi fabbriche: alcuni enormi complessi abitativi popolari sono stati abbandonati, interi quartieri sono implosi, trasformandosi in aree fantasmatiche e inquietanti.

È un nuovo fenomeno urbanistico legato alle trasformazioni della produzione che accomuna diverse città industriali, (Liverpool, Detroit, Kiev, Manchester, New Delhi…) le cosiddette shrinking cities, che simboleggiano forse un ulteriore modificazione-ultimo stadio della “nuova periferia” pasoliniana.

Ad Halle abbiamo respirato l’aria post bellica, post fine, post caduta del muro che si sente a Neustadt, il quartiere satellite, la città nuova, ideale, creata per lavoratori di un utopico socialismo reale crollato e venduto a pezzetti come quelli del muro di Berlino, che ancora si comprano all’aeroporto…

Questa città della ex-DDR porta impressi sui muri i segni della fine e della fuga: fine di un sogno-regime, di “un altro mondo possibile” schierato contro e dell’avvento omologante dell’unico modello vincente-perdente, la mono-cultura americana, che come tutte le mono-culture sfinisce e prosciuga anche i terreni migliori.

Anche qui Silvia, ha distribuito un piccolo volantino con scritto: “Mi sto cercando, se anche tu ti sei perso contatta questo numero” (Ich suche mich) che precedentemente è stato tradotto sia in francese (je me cerche), poi a Groeningen in olandese, (ik zoek mezelf)… ci sono giunti decine di sms in risposta che compaiono durante lo spettacolo…

Abbiamo ascoltato le giovani generazioni, non più x generation cui noi apparteniamo, ma net generation (o qualsiasi altra definizione i sociologi tentino…), ci siamo avvicinati filmando decine di piccole band musicali disperse fra edifici industriali abbandonati e cantine… Qui, in una sala prove fatiscente, c’è stato l’incontro con Ines Quosdorf, cantante e studentessa di musica, che dopo 10 giorni di prove, si è trovata davanti alla platea gremita ed entusiasta di Theater der Welt… Del resto il nostro stesso teatro, bastardo e in perenne rivolta verso i “padri-padroni”, è nato in sperdute sale prove della Romagna, lontano dal centro e dai grandi teatri, indipendente e da subito connotato come collettivo, band, piuttosto che gerarchica compagnia teatrale.

Cosa suonano, per chi suonano, questi giovani che cercano di parlare inglese e poco sanno del perchè i loro nonni parlano russo… lo spirito è lo stesso del gruppo metal o hip-hop francese o degli adolescenti punk di Ravenna? E di quelli che incontrati a Napoli?

Forse sì. Forse a questa età l’attesa è la stessa, la paura è la stessa, la rabbia è la stessa, il desiderio di cambiare il mondo anche… e spesso anche la sete di essere nel mondo come gli altri, come tutti.

Ora anche ad Halle Neustadt, in centro, c’è una multisala e tanti centri commerciali che funzionano poco e male, perchè la popolazione è quasi dimezzata, le finestre sono in gran parte chiuse, i pochi giovani rimasti si aggirano per bande, come predoni sopravissuti a chissà quale disastro.

E questo senso di fine, di post – e di resistenza tenace nel caos – è ciò che ci spinge a procedere, è l’animo di questa versione di Ics, cortocircuito di vecchio e nuovo, interno ed esterno, vuoto e pieno, presente e memoria… gioventù e vecchiaia. Quest’ultimo movimento ha visto l’ingresso in scena, per la parte conclusiva dello spettacolo, di una anziana signora che va a sedersi sulla panchina occupata transitoriamente dai ragazzi… e qui, in uno degli ultimi luoghi non assoggettabili alla tirannia del tempo e della produzione, avviene l’incontro fra generazioni.

Da ora, in occasione delle repliche dello spettacolo, in ogni città viene richiesta la “comparsa” di una anziana, che parli la lingua del luogo, disposta a relazionarsi con i nostri giovani attori.

Ics vuole restare aperto alle città, per accogliere la polifonia dei segni e dei suoni delle aree residuali di ogni luogo in cui avremo possibilità di fare residenze: X.03 è però l’ultimo movimento perché lo spettacolo ha trovato un suo formato, una sua dimensione compositiva, che, come tutte le strutture portanti, mantiene delle opportunità di intervento sui particolari, delle finestre aperte su possibili nuove città… ma ha un assetto compiuto.

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©Pierre Borasci

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