Nell’autunno 2007 ci siamo spostati, per una nuova residenza, nel sud della Francia, a Valence, non più città lineare, indistinta, ma centro storico conbanlieue separata, magrebina. L’architettura prefabbricata negli anni ’60, è funzionale alla segregazione, perfetta per mantenere i giovani nordafricani lontano dal centro città, anche se poi questa ostinata decentralizzazione, tutta francese, sotto la sua patina di buona organizzazione, nasconde tensioni esplosive e violenze non del tutto prevedibili.
Siamo entrati in questo tessuto connettivo timidamente, grazie all’alleanza-guida di Sid-Hamed, che ci è sempre stato vicino, curioso del nostro indagare i luoghi senza volerli etichettare sociologicamente: siamo stati insieme, abbiamo fatto scorrere del tempo in piccole sale prove musicali e sulle panchine della città martoriata dal vento, tanto che anche il vento di quei luoghi è poi entrato nello spettacolo…
La residenza a Valence ha provocato una radicale trasformazione nella conformazione del progetto: tutto è divenuto più poetico ed evocativo, teso a restituire l’estenuato rapporto con il tempo dell’attesa che i giovani senza tante possibilità di svago hanno in quel quartiere dove le panchine sono i luoghi di ritrovo principali e ai centri commerciali ci si va solo il sabato pomeriggio in gruppo, naturalmente non certo per comprare, ma per mostrare se stessi, o dimostrare a se stessi di esistere…
Si è lavorato nella banlieue di Fontbarlettes appoggiandoci alla Maison pour tous, centro di aggregazione giovanile popolato prevalentemente da magrebini, dialogando e vagando nelle aree meno pericolose del quartiere, dove le nostre telecamere suscitavano interesse e non reazioni violente perchè confuse con quelle della polizia.
Fra questi palazzi squadrati e soffocanti, Silvia ha distribuito i suoi volantini, ha pattinato travestita da super-eroe “dei poveri” attirando ilarità e scherno…Les italiennes sono diventati a poco a poco un’attrazione per le annoiate giornate sempre uguali del quartiere… ed è proprio sulla noia e la curiosità morbosa verso tutto ciò che è diverso e strano e inatteso che abbiamo lavorato.
Come ricreare certi stati di sospensione nella solitudine pomeridiana della città? Il vagare, l’ansia o lo starsene in vacua attesa su una panchina a desiderare incessantemente che qualcosa di nuovo e meraviglioso giunga…“Aspetto, temo non avere niente di meglio da fare…” diceva Malcolm all’inizio del bel libro di James Purdy cui volevamo dedicare un film impossibile. Il fantasma di Malcolm resta nell’aria, aleggia sulle riprese avventate che abbiamo fatto in questa città autunnale trafitta dal vento, nelle desolate e futuristiche strade di Fontbarlettes e del Polygon, sulle panchine di un parco pubblico irreale.
Ci siamo spostati veloci con le videocamere sempre accese, eternamente perseguitati dalla curiosità di ragazzini che finalmente avevano trovato “qualcosa da fare”: inseguire la troupe de Les italiennes che non fa televisione, come tutti ci chiedevano, ma raccoglie appunti per un film futuro.
Gli appunti, i sorrisi, le urla di quelle strade sono confluiti in uno spettacolo ibrido che assembla i germi di un concerto stridente e di una danza sporca e asincrona, legata al rapporto con il catrame della strada e l’odore dei parchi.
E mai dimentichiamo la dimensione del gioco… o meglio, come scrive Cocteau ne I ragazzi terribili: Dire gioco è inesatto… bisogna saper tornare alla realtà dell’infanzia, realtà piena, eroica, misteriosa, che si alimenta di umili particolari e la cui magia viene brutalmente dissolta dalle domande degli adulti.
Effettivamente sulla scena tutto avviene sotto lo sguardo di un adulto, un attore-padre complice, in ascolto, alleato e curioso cerimoniere dei tragici riti di passaggio all’età matura… un padre-amico che pochi di noi, in Italia, dove la famiglia spesso soffoca, hanno avuto la fortuna di avere.
Se nel movimento precedente protagonisti erano i centri commerciali e varie riflessioni su di essi, qui al centro è la strada che viene più volte evocata e ricostruita sul palco. Strada che si fa anche scenario di morte, di un suicidio precoce, di un salto nel nulla, di una rinuncia avventata a varcare la soglia, il passaggio fatidico al mondo degli adulti da parte di un interprete maschile, Sergio, la cui morte apre una serie di riflessioni sul tema del nichilismo adolescenziale cui anche tanti brani musicali punk e hard-core, che accompagnano lo spettacolo, inneggiano…
Io non diventerò mai grande, non come voi che avete una tristezza che è normale… (Aldo Nove).
Il nome del gruppo musicale composto da ragazzi dai 14 ai 17 anni con cui abbiamo collaborato a Valence, Tomorrow Never Came, è senz’altro significativo. Ma lo spettacolo non vuole assolutamente assumere una veste pessimista… anzi, il personaggio di Silvia sino alla fine cerca, traina, incita tutti a non mollare, a trovare finalmente se stessi.