Piccoli Episodi di Fascismo Quotidiano

2005

Pre-paradise sorry now

di Rainer Werner Fassbinder

ideazione e regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

consulenza letteraria e musicale Luca Scarlini

con Dany Greggio e Nicoletta Fabbri

partecipazione in video Silvia Calderoni e Gaetano Liberti

voce off Andrea Riva

editing audio e fonica Nico Carrieri e Enrico Casagrande

immagini video Daniela Nicolò e Simona Diacci

ufficio stampa e organizzazione Sandra Angelini e Elisa Bartolucci

amministrazione Cronopios

produzione Motus

con il sostegno di Arboreto di Mondaino, CANGO-Cantieri Goldonetta Firenze, Inteatrofestival, Provincia di Rimini e Regione Emilia Romagna

©Federica Giorgetti

Note di regia

«Ciò che non siamo in grado di cambiare, dobbiamo almeno descriverlo»Rainer Werner Fassbinder
È dal caos di immondizie e macerie che conclude L’Ospite, – un dopo bomba – che guardiamo ancora l’oggi. Dopo il progetto su Pasolini, l’ultimo e disperato Pasolini di Petrolio e Salò, diamo avvio a un nuovo percorso che scava dentro una serie di scomodi rimossi. Dalla caduta del muro si è inaugurata “L’età dei crolli” – per citare un bel libro di Marco Belpoliti – e lo spettro del nazismo e della epurazione razziale, non è così lontano come si vuol far credere… «Hitler è sopravissuto!» veniva gridato anche in Twin Rooms! Basta fare una semplice ricerca in internet per accorgersi con orrore di quante migliaia di siti neo-nazisti esistono al mondo, dove è possibile acquistare on-line icone, bandiere, musiche e ambigua oggettistica: un mercato immenso che si intreccia con quello sado-maso e degli snuff-movies… Spesso la sede di questi siti è negli Usa, dove il militarismo si incrocia funestamente agli ideali di patria, razza e famiglia, osannati spavaldamente dall’attuale, spregevole, presidente.

Il rombo dei bombardieri, torna a sorvolarci, inquietante e amplificato, per dirigersi in Iraq, dimentico del bagliore del fungo atomico… e il governo italiano approva, sottoscrive, imita, si adegua: il rombo dei bombardieri è assordante in Italia, sostenuto e sottoscritto da un nuovo papa altrettanto oscurantista e medievale. Siamo disperati e preoccupati per le sorti di questo paese in declino artistico e culturale, e chiediamo umilmente aiuto, pur sapendo che forse non esistono isole possibili, immuni dal fascismo quotidiano che governa le relazioni di potere, anche nell’illuminato contesto teatrale.

Questo progetto è l’ultimo nostro tentativo di resistenza qui, e non a caso, sino ad ora, è stato ospitato solo da luoghi anomali, che a loro modo “resistono”, rischiando, tentando di attuare programmazioni non omologate. È dunque evidente come i Piccoli Episodi nascano intrisi di sconfortante malessere: non ci interessa giungere a uno spettacolo, – non è tempo per intrattenimenti – preferiamo lavorare sul filo del baratro, spostandoci con leggerezza, sempre pronti alla fuga (e alla guerriglia). È un progetto che implicitamente suona come addio a un’Italia – sotto regime – in cui sta diventando impossibile sopravvivere per compagnie di ricerca indipendenti come la nostra, e non solo per motivi economici! Abbiamo lasciato anche il nostro spazio prove per avviare una formula nomade, fatta di una serie di residenze consecutive che non avrà fine: ci insediamo come pianta rampicante, come virus, come ospiti invadenti nei luoghi, interagendo con gli interni, mutando con gli spazi e in relazione ai progetti in cui la nostra presenza è inserita.

Simuliamo, con pezzi e poveri frammenti, un interno dalla banale normalità, fatto di oggetti, cose, assolutamente riconoscibili, e le facciamo tremare… andiamo a ricercare i segni, le tracce del fascismo ancora predominante proprio nell’infimo, nel quotidiano, perchè «… è nelle abitudini del comune vivere domestico che si annidano i germi che alimentano le ideologie autoritarie…» (Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo, Einaudi, Torino, 2002) fra la polvere nascosta sotto i tappeti, dietro i crocifissi e i merletti, nei rapporti di coppia, in quelli tra padri e figli, fra datore di lavoro e dipendenti, e… fra registi e attori.
Parallelamente al lavoro teatrale, stiamo realizzando un interminabile video-catalogo con piccole interviste a giovani attori raccolte durante un workshop che affianchiamo alla residenza artistica. Chiediamo loro di descrivere, davanti a una telecamera, un “piccolo episodio di fascismo quotidiano” subito o a cui hanno assistito: stanno emergendo storie inquietanti anche e soprattutto rispetto al relativismo che la parola “fascismo” oggi assume, che è poi tema centrale del laboratorio.

In scena invece ci sono due soli attori, Ian e Myra, (Dany Greggio e Nicoletta Fabbri), protagonisti-pretesti, desunti dal testo scritto da Fassbinder nel 1969,Pre paradise sorry now ispirato alle reali vicende di due serial killer inglesi arrestati nel 1966, “The moors murderers”, icone pop delle “coppie assassine”… (Myra è morta in carcere nel 2002, mentre Ian, condannato all’ergastolo, viene tuttora alimentato a forza). Nel corso delle residenze, abbiamo lentamente deciso di rinunciare alla messinscena del testo per estrapolarne pochi frammenti di dialogo e descrizione, confluiti in un evento scenico destrutturato ed evocativo, che slitta continuamente fra le biografie dei due psicopatici inglesi, infervorati dal fascino per il nazismo e tutte le forme di rigida sopraffazione e intolleranza – tipici della frustrazione sociale delle classi medio basse – e i tanti Ian e Myra che abitano le villette a schiera delle periferie, e ogni giorno si recano in ufficio covando un odio irrazionale, rozzo, sempre proiettato verso qualche nuovo nemico. Fassbinder, poco dopo il loro arresto, ha dunque scritto una pièce teatrale che ne conserva addirittura i nomi reali e attraversa pedissequamente le vicende della loro storia, sino alla comparsa di Jimmy – in realtà si chiamava David Smith – un loro parente, che viene fatto assistere al sesto omicidio, per essere “istruito”… e che il giorno successivo li va a denunciare… Il terzo, il voyeur, viene selezionato in ogni città fra i partecipanti al laboratorio, proprio perché Jimmy – colui che assiste muto a eventi terribili – possiamo esserlo tutti.

Il lavoro resta così costantemente in bilico, aperto, adagiato nei luoghi e nelle persone, è mutevole e fragile, come le immagini proiettate sugli schermi in plexiglas coperti di polvere, che possono essere cancellate con un colpo di mano o una luce troppo intensa. Può essere adattato a qualsiasi tipologia di spazio, da un reale appartamento ad una sala teatrale, purchè spogliata di quinte e panneggi. Rifiutiamo solo di farlo su palcoscenici all’italiana, in tal caso, come è avvenuto al Teatro Petrella di Longiano, anche il pubblico siede sul palco, condividendo con gli attori quel luogo domestico in cui finisce troppo spesso per riconoscersi, scoprendo, nelle ridicole manie di grandezza dei protagonisti, tanto del proprio comune agire, anche se, sorry, è sempre più facile addossare colpe, e debolezze, a qualcun altro.

Lo spettacolo

Nel 1968 il Living Theatre invadeva la vecchia Europa con Paradise now, uno spettacolo in cui, dopo anni di lavori disperati, la compagnia americana si proponeva di «avvolgere il pubblico e gli attori in una tale gioia che l’impossibile sembri possibile».

Nel 1969 Rainer Fassbinder rispondeva con Pre-paradise Sorry Now, un testo in cui, facendo ironicamente riferimento al titolo di Beck e Malina, raccontava la saga di due serial killer ossessionati dalla pulizia etnica, a dimostrare che forse il paradiso non fosse così a portata di mano.

Nel 2005 Motus presenta Piccoli episodi di fascismo quotidiano, un’opera decisamente patinata e decisamente violenta, un’opera sottovetro.

Su un oloscreen in plexiglas scorrono immagini di repertorio accompagnate da una tipica voce da cine-documentario. Oltre lo schermo un salotto borghese viene scoperto nella penombra da una luce soffusa dai toni caldi. Una poltrona in pelle rossa, una pianta su un tavolo, un telefono a muro, un carrello portavivande. Una vetrata smerigliata separa la camera da letto. Qui vivono un uomo e una donna.

Myra indossa abiti anni Settanta e di tanto in tanto si aggiusta una calza autoreggente color carne, ricordando la Mangano di Riso amaro.
Ian, in completo maschile, passa l’aspirapolvere ballando in mutande, una reminescenza dell’Alex kubrickiano che compie atti cruenti cantando Singing in the rain«Mi deprime la gentilezza che dobbiamo ostentare» ripete spesso lui. Annuisce dolcemente lei, che viene chiamata “Hessi”, per rievocare il segretario del Fuhrer, Rudolph Hess.

Un rapporto di simbiosi malsana si consuma tra i due, bambini incapaci di crescere, adulti consapevoli dell’ideologia delle loro azioni, ma non delle cause e degli effetti della violenza. L’uomo cerca la donna come il cane fiuta l’osso, insetti di un medesimo mondo animale.
La micropartitura gestuale composta dalla rottura di oggetti casalinghi, la drammaturgia verbale intessuta tra dialoghi nazisti e monologhi polizieschi rende la recitazione di Dany Greggio e Nicoletta Fabbri disarmante. Una dizione pacata da cinema dei telefoni bianchi e alcuni elementi che rimandano alla realtà (il ripetitore telefonico che annuncia la data e l’ora in cui si sta svolgendo lo spettacolo) straniano brechtianamente la percezione della follia mentre si consuma il delirio della violenza. Si sprigionano istinti primordiali a dimostrare che il fascismo è ancora tra noi.

Tra gli spettatori quando, prima dell’inizio dello spettacolo, una motocicletta fa capolino nel cortile con il suo rombo perforante e performativo; durante lo spettacolo, quando il pubblico viene ripreso sul plexiglass come possibile bersaglio di una violenza domestica e universale; dopo l’evento, quando all’uscita, vengono mostrati video di episodi di ordinaria follia quotidiana. Al termine di tutto, quando, soli, si ripensa alla violenza subita e inflitta, dentro e fuori la finzione.

©Federica Giorgetti

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