Sul palco, tre schermi invadono la scena: due più piccoli laterali e uno grande, centrale, diviso in tre sezioni. Al centro un microfono attende la voce sensuale di una narratrice. A sinistra un tavolo da doppiatore. A destra un’automobile.
Mentre il pubblico prende posto nella sala, l’inquietante rumore naturale di un temporale fa da sottofondo alla voce registrata di Pier Paolo Pasolini. Una voce argentina e un po’ fanciullesca che emana sentenze e poesie. Frammenti di testi e frasi di interviste.
Un uomo, l’Ingegner Carlo dell’Eni interpretato da Dany Greggio, esce dall’auto e si posiziona al tavolo sulla sinistra. Nel mentre, Emanuela Villagrossi, la voce narrante in abito nero attillato, leggìo di fronte alla perfetta silhouette, racconta della “trasformazione” di sesso di Carlo che, pur mantenendo una fisionomia maschile, ha assunto organi sessuali femminili. I fogli cadono morbidamente a terra dal leggìo, mentre la narrazione si fa calda, liquorosa.
Se sullo schermo a sinistra compaiono le immagini che via via la narratrice evoca, su quello a destra un cane attraversa una spiaggia desolata e in quello centrale scorrono via veloci paesaggi da periferia urbana.
Carlo incontra per la prima volta Carmelo, interpretato da Franck Provvedi, durante un pranzo di lavoro. L’aitante ragazzo è un cameriere in livrea del ristorante che aiuta Carlo a indossare il cappotto «con sguardo materno e stretta possessiva». Uno sfregamento di mani, un passaggio di biglietti: soldi in cambio di un numero di telefono, o viceversa. Se le immagini dell’incontro sono viste dallo spettatore sullo schermo, se il racconto dell’azione viene diffuso dalla narrazione femminile, le voci dei due uomini sono dal vivo, emanate dai microfoni che stanno di fronte ai due protagonisti, come in un doppiaggio filmico.
Nell’appartamento borghese, Carlo sente una contrazione nel basso ventre. È indeciso se chiamare Carmelo. Non per una sorta di timidezza tipica delle relazioni sentimentali al loro inizio, ma per la vergogna dei propri istinti sessuali. Poi alza la cornetta verso l’ora della colazione. Risponde una voce calma e pacata: appuntamento per le nove della sera, all’incrocio tra la Prenestina e la Casilina.
Attraverso le luci della notte, i palazzi degradati, le brutte prostitute, Carlo arriva. Carmelo lo attende in trench color cammello e pantaloni scozzesi. Durante il viaggio in auto si respira tutta la carnalità di quell’incontro che termina in un “pratone” isolato, rischiarato dalla luce della luna. Il rapporto viene consumato nella più gelida solitudine, tra un Carmelo vigoroso e consapevole e un Carlo passivo e incosciente.
La violenza e la primitività di quell’amplesso si dissolvono nel saluto amichevole. Ognuno dei due tornerà al proprio destino. E mentre il vento soffia forte, resta l’immagine ossessiva di un animale che zampetta su una spiaggia, con un ramo nella bocca. Un cane – o una cagna – senza padrone.
presentazione a cura di Patrizia Bologna
Note di regia
Appunti di viaggio – in viaggio verso L’ospite – lo spettacolo che ha debuttato a Rennes nell’aprile 2004, con cui abbiamo tentato, acrobaticamente, di compiere, a partire dal romanzo Teorema di Pier Paolo Pasolini, un percorso trasversale attorno a quelle opere in cui si materializza un elemento sacrale-distruttivo che assume forme diverse anche in Porcile, San Paolo e Petrolio.
Un itinerario lacerato fra La Nuova Periferia ed il deserto. Riflesso della decisione di Pasolini di iniziare a scrivere di situazioni borghesi, personaggi per lui odiosi, – «ripugnanti», li definisce nella lettera a Moravia in appendice aPetrolio – «(…) sì, anche il comunista è borghese. Questa è ormai la forma razziale dell’umanità».
Il tema della crisi e della «banalità del male» nel quotidiano, dentro il nuovo totalitarismo consumistico, era stato già fulcro di tutto il progetto Rooms, dove nelle analisi della borghesia attuate in chiave cinico-ironica da DeLillo, (e da Genet) l’elemento traumatico era il compiere un atto estremo, come l’omicidio per superare la paura della morte… in Pasolini invece è l’avvento di un fatto scandaloso esterno, quale l’irruzione dell’ospite, o una visitazione angelica e demoniaca, come in Petrolio, a provocare lo svelamento, la frattura…
Negli appunti da 58 a 62 di Petrolio, la “manifestazione” di Carmelo all’ing. Carlo dell’ENI, scatena lo stesso stordimento emotivo che l’avvento dell’Ospite provoca nella famiglia di Teorema: la fascinazione per le immagini evocate e la crudezza matematico/descrittiva del testo ci ha indotto al tentativo di farne un “film di letteratura”, un film raccontato a viva voce da una narratrice “sadiana” come Emanuela Villagrossi. La sua voce, accompagnata da un concerto fisico/acustico degli altri due interpreti maschili, guida il crescendo di questa relazione rivelatoria fra vittima e carnefice, dove Carlo segue Carmelo – «come una cane, anzi come una cagna – al centro di quella grande distesa di terra con tutt’intorno, lontani, contro i loro differenti cieli, i lumi dei vari quartieri».
Come un viaggio del resto è andare fra le parole di Pier Paolo Pasolini, tra le righe e gli “appunti per” e sempre in movimento sono i personaggi dei suoi film e romanzi, sino al testamento-monumentum Petrolio. Un viaggio che termina, che viene interrotto da una morte violenta, la sola in grado di compiere il definitivo, scioccante montaggio sull’inarrestabile piano sequenza della vita.
Pasolini amava le corse in automobile, le auto sportive, veloci, amava andare in giro di notte solo, «… giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone», sempre in cerca, sempre in attesa, perché sempre, sempre, gli mancava qualcosa. Dal vuoto di questa mancanza, «egli cercava – ma nel mondo, fra i corpi – la solitudine più assoluta», dal desiderio di andare a tracciare i margini figurativi, i punti di confine fra vecchio e nuovo, è nata poi l’idea di sovrapporre un ulteriore filtro datato 2003 a quella infinita carrellata che sono le Visioni del Merda.
Un altro strato, un ulteriore livello narrativo che abbiamo realizzato con una macchina “mangia-realtà” da noi appositamente costruita e composta da una staffa con tre telecamere che registrano in sincrono il paesaggio in movimento, collocata sul cruscotto dell’auto. Abbiamo fatto un viaggio Roma-Napoli cercando il lato oscuro delle città, quel niente senza nome che si deposita nella deriva della ratio urbana… dove gli effetti della globalizzazione forzata e di una certa spregiudicata speculazione edilizia, tutta italiana, hanno partorito i loro mostri.
«Nessun deserto sarà mai più deserto di una casa, di una piazza, di una strada dove si vive millenovecentosettanta anni dopo Cristo. Qui è la solitudine…».
(Da Appunti per un film su San Paolo, 1968/74)