Silvia: – Rec #11, è da un mese che durante le prove cerchiamo di non fare morire Antigone, ma è impossibile, sembra che il suo destino non possa essere che questo… ma se muore Antigone è come se devo morire anch’io. No, troppo presto. Ci stanno addestrando a scomparire e io voglio essere visibile, ascoltata… e non voglio neanche andare via. (Ride)
“E questa luce sacra del sole non potrò più vederla?” si chiede Antigone mentre è condotta alla tomba.
Ma è proprio così? Qui “l’attrice che interpreta Antigone”, dopo tanta pubblica esposizione, si pone in rivolta verso il “nero” di se stessa, per tentare una utopica riflessione sulla percezione (e l’azione) artistica. Cerca Tiresia, privato della vista per “aver troppo visto”, fra volti sconosciuti, sul bordo di un lago nero, senza fondo, in una specie di accampamento mobile, come i tanti sorti dal nulla ai margini delle metropoli, costruiti da quelli che hanno perso spazio vitale a seguito “della crisi” o semplicemente hanno deciso di andarevia. Il “luogo oscuro” è condiviso e illuminato dagli sguardi degli spettatori, anche in questo caso immessi nello spazio scenico, testimoni del confronto che qui assume una forma circolare, magica. La trilogia si conclude dunque con un contest impossibile: le attrici “giocano” i ruoli d’Antigone e Tiresia, in una atmosfera sospesa, atemporale, sincretica. Anche se nella tragedia non s’incontrano, ci paiono accomunate da una sorta di “sguardo partecipante”, che spinge ad agire, nel caso di Antigone, o a testimoniare – esporsi nel dire e pre-dire – nel caso di Tiresia. I loro sguardi eccessivi sono attratti da quel punto limite che i greci chiamano Ate, un labile confine fra vita e morte, che solo brevemente può essere varcato…
Liliana Cavani nel film “I Cannibali” li immagina insieme, in una fuga impossibile, congiunti in una morte pubblica per fucilazione, come due irriducibili della protesta, in una piazza gremita di gente, alla luce del sole.
Essere vivi significa vedere il sole e essere visti da lui: Creonte ha compiuto la più infima violenza contro questa equazione, Antigone viva è gettata al buio e Polinice è abbandonato a imputridire alla luce del sole.
Questo rovesciamento è all’origine di ogni disastro: guerre e catastrofi naturali hanno lasciato un numero infinito di morti insepolti sulle strade e i vivi ad aspettare al buio dei sotterranei; tornano alla memoria i disegni dei rifugi di Henry Moore…
L’improbabile contest si declina così sulle note di un abbandono, che non è fuga, ma viaggio verso la morte-camera oscura per Antigone e l’indistinto che attende un Tiresia-donna, che si esprime in rauco inglese, dopo aver lasciato il cospetto di Creonte, accusandolo di essere who cause the city’s sickness!
Antigone si dirige al buio della grotta e Tiresia vive già nel buio di una cecità che abbaglia.
I due sguardi si scontrano. Entrambi hanno visto, e preannunciato, le stesse terrible things profilarsi.
Forse solo gli animali ascoltavano?
Chi vuol vedere, vien veduto.
“Preludio all’Antigone” Bertolt Brecht
Lo sguardo partecipante è compromettente, perché implica un vedere e un “essere visto” in uno scambio continuo di ruoli fra Spectrum e Spectator. La separazione fra soggetti vivi e vedenti e oggetti morti, visti, è l’effetto di un rapporto di supremazia: è la violenza dello sguardo che gli Stati totalitari e del capitalismo avanzato impongono ai cittadini. Non a caso tutti i sistemi legislativi dei paesi ricchi hanno riformulato il corpo delle leggi in relazione alle forme di nomadismo, sia rispetto ai migranti, che ai vagabondi e ai Rom, che rispetto alle varie forme di follia.
La perimetrazione dei territori, i nuovi concetti di frontiera e appartenenza sono chiamati a funzionare come “oscuri supervisori” delle dinamiche ambientali, per sorvegliare gli spostamenti inattesi, le forme d’aggregazione e condivisione non catalogabili. Tutta la storia dell’occidente ha invece all’origine viaggi e migrazioni, anche insensate, come quella d’Ulisse che sacrifica la famiglia, la casa, i compagni per mettersi in viaggio; Tiresia, cieco, è condannato a vagare senza sosta, chiamato nei luoghi dove le tensioni esplodono, per dire… E la stessa Antigone lascia il palazzo, gli affetti, l’amato Polinice, per seguire il padre Edipo in un peregrinare senza meta, mendicando, verso nulle part, come scrive Henry Bauchau in “Œdipe sur la route”… E “sur la route” ci metteremo di nuovo anche noi, nell’agosto 2010, diretti ad Atene e Tebe, i luoghi della tragedia, oggi.
In IOVADOVIA Silvia evoca direttamente l’altro fratello ucciso in Grecia nel 2008, Alexis Grigoropoulos, spostando esplicitamente l’asse del confronto sul tempo presente, come preludio all’opera che concluderà il progetto Syrma Antigónes, ovvero “Alexis. Una tragedia greca”. Vogliamo ripercorrere la “traccia di Antigone”, i solchi del suo viaggio con Edipo, alla luce della geografia mutata e stravolta di oggi, nel pieno della crisi disastrosa… Una immersione nel tragico che attanaglia questo paese così vicino per storie e tensioni all’Italia, come sempre all’ascolto, vigili e con molte domande da porre.