Di X (ICS) Racconti crudeli della giovinezza fanno parte:
Sidewalk
Un marciapiede come spazio-cerniera tra pubblico e privato, esterno e interno: connettore-soglia fra città e cielo, alto e basso.
Un marciapiede come appoggio ultimo per il nostro teatro, come barriera stanca fra noi e il mondo. Ora i nostri attori stanno appoggiati lì e lì attendono.
Di fronte una panchina e una strada a separare. Frattali di un ambiente scucito e tenuto insieme dallo scotch. Resta poco, poche cose sparse, un sacco a pelo, una lampada da campeggio, un ramoscello e tanti scatoloni vuoti.
Resta poco e c’è voglia di poco, di essere sempre meno fuori, esposti, chiassosi, urlanti, rumorosi. Nella volgarità imperante c’è necessità di timidezza, indecisione, lentezza; di stare all’aperto senza protezioni, inermi. E non è una resa.
Quando il territorio è frantumato e il qualunquismo incede, l’arroganza politica e culturale conquista soglie preoccupanti: governa chi alza la voce e offende, governa chi usa barzellette e sconcerie, chi paventa il ricorso alle maniere forti, alla tolleranza zero.
Fantasmi inquietanti del regime trascorso avanzano… si fanno strada da sotto, dal basso, agendo sul gusto e l’attitudine al fare… si insinuano ovunque anche fra le poltroncine rosse dei vecchi teatri “all’italiana”, dove non a caso continuano a essere al centro gli istrioni, i parlatori, gli affabulatori egocentrici, con spettacoli di repertorio in cui anche la trasgressione è edulcorata, o ridicolizzata, per strappare qualche sorrisetto bieco… governa il gusto di chi dispensa sonniferi o evasioniillusioni, american dreams fasulli e riciclati…
Di certo non governiamo noi e di sedere su certe poltroncine non ne vogliamo sapere, meglio essere fuori, lontano dai centri e dagli assembramenti sportivo-spettacolari: stiamo dove è meglio non stare, dove non si sa cosa possa accadere. Sul marciapiede, in mezzo. Non stiamo di fondo, siamo.Guardiamo alla giovinezza come metafora d’incertezza e trasformazione, giovinezza non anagrafica ma interiore, attitudine e disposizione a farsi invadere dagli eventi, alla curiosità verso il non certo, non definito, il non riducibile a termini puramente economico-utilitaristici.
E non è un ripiego nostalgico, ma pratica disintossicante. Ci sediamo sul bordo del transito, al confine fra pedoni e auto, respirando “…aria fresca e gas di scarico, aria fresca e profumi alcolici griffati, aria fresca e parole buttate al macero… mi arrivano solo pezzi di mondo, pezzi di facce, di auto, di moto, di cani, di bimbi, di finestre, di porte, di bar, di condomini… pezzi di grida e di pianti, di cavi del telefono e dell’elettricità, pezzi di insegne al neon, di manifesti strappati, di scritte, graffiti e parolacce invecchiate, cicche e cocci di piatti, pezzi di parabrezza e scarpe vecchie e ancora, sempre uguali e diversi, pezzi di un mondo che va a pezzi…”. Da un testo dello spettacolo X(Ics)Racconti crudeli della giovinezza.
Oppure andiamo, spinti da forza irrimediabilmente centrifuga, fuori, verso luoghi senza nome. Perchè continuiamo a essere attratti da edifici abbandonati? Per la loro forma di vaghezza? Di non-forma? Evidentemente anche l’assenza di forma è forma.
È il rovescio dei luoghi urbani, residuo delle città.
C’è una strana similitudine fra giovinezza e terrains vagues: in urbanistica questi spazi sono denominati “zone bianche”, luoghi che si producono attraverso il riempimento progressivo, abusivo o meno, delle zone fuori dai piani regolatori. Il bianco li differenzia sia dall’edificato che dal naturale, quello completamente prodotto dalla cultura, il cosiddetto verde pubblico dei parchi e giardini. Questo spazio “vago”, cioè bianco, si caratterizza in base alla peculiarità dell’assenza, assenza di colore e di riconoscibilità: è lo scenario ideale per azioni imprevedibili, per assembramenti clandestini, patti di sangue, incontri promiscui e giochi pericolosi… tutto ciò che sta al confine-margine del quieto vivere, (nel bene e nel male, purtroppo…).
Lo sguardo in questi spazi è ravvicinato, ansimante: quando si cammina in terreni accidentati non si può guardare in alto o lontano, occorre scrutare il terreno, controllare i dislivelli e i materiali potenzialmente pericolosi, è uno sguardo che si sofferma, sintassi di un corpo che tocca, esplora il particolare, sente le masse, le ruvidezze…
Ci piace pensare a un sapere-motorio più che visivo, un sapere-conoscere che entra nei pori degli oggetti, li scruta, li seziona nei pixel costitutivi. La matrice che vela le immagini in Ics è un po’ questo sguardo, dove micro-macro si fondono per tentare di entrare dentro, andare sempre più all’interno delle cose, secondo una “incorporazione radicale”.
È un incedere per focalizzazioni sensoriali imprevedibili, dove vista, tatto e olfatto sono costantemente attivati, l’equilibrio è precario, il percorso ignoto, ma si procede, integrando una di seguito all’altra, carrellate di visioni parziali di mondo, pezzi, disintegrati, di un tutto “che cade a pezzi”…
Sia nel caso di edifici-macerie che dei vuoti urbani, il fascino per i luoghi interstiziali cova nella loro stessa irriducibilità, nella loro diffusione sfumata e sfuggente… un vuoto d’opposizione ai pieni urbani, un vuoto d’opposizione alla pienezza adulta anche.
Sono gli spazi dell’incolto, della proliferazione casuale e incontrollata, di innesti inattesi, di brassage fantasiosi fra specie sfuggite al controllo di giardinieri e cultori dell’ordine urbano.
Ambiti che ci piace equiparare ai teatri “resistenti” che ci ostiniamo a fare, teatri-rampicanti, invasivi, che per primo colonizzano tutto il nostro vivere poi si propagano alle esistenze altrui, di chi con noi collabora o vede in modo vivace, non da spettatore assopito.
La vegetazione invade, trasforma, si insinua in ciò che ha perduto uso e motivo, trova fonte di vita e espansione nel vuoto, fra i pezzi di ciò che non è più… vegetazione selvatica che solo il cemento armato estirpa? Dipende, è solo questione di tempo e alchimie atmosferiche.
Esistono piante che si insediano negli interstizi del cemento più duro e lo spaccano… radici che deformano marciapiedi, squarciano selciati e si riprendono lo spazio sottratto con paziente tenacia. Piante pirofite che proliferano là dove ci sono stati incendi, che resistono al fuoco (pirofite passive) o che si rigenerano grazie a esso (pirofite attive), in pratica trovano energia vitale dalla distruzione stessa… E la distruzione è in atto in questo bel paese anestetizzato. A questo punto, estromessi e volutamente non belligeranti, pensiamo sia necessario arrivare alla fine, all’incendio, alla tabula rasa del dire e fare, per trovare nuove forme d’esistere.
Abbiamo alle spalle anni d’allenamento pesante, alla trasformazione, alla flessibilità, al fare anche con poco e niente, negli angoli, contro.
Aspettiamo il peggio per rinascere dal peggio.
Fiduciosi.
(Daniela Nicolò)
X (ics) Racconti crudeli della giovinezza
Dalla periferia del teatro
Motus è una parola latina e significa movimento, e l’idea di movimento inquadra ogni dimensione del fare artistico, sia per la continua esigenza, quasi ossessiva, nel ricercare e sfidare diversi formati espressivi, che per la dimensione nomadica che hanno assunto di volta in volta i progetti. All’origine di ogni nuovo percorso teatrale, verso l’universo di un autore o una specifica tematica, c’è sempre un viaggio di ricognizione, studio e raccolta di materiali nel mondo delle cose: Io vivo nelle cose è anche il titolo del nostro ultimo libro, edito da Ubulibri di Milano, che ha per sottotitolo Appunti di viaggio da Rooms a Pasolini…
Questa ricerca forsennata si è scontrata con autori tragici e disperati, affrontati come universi e serbatoi, come esperienze di vita e di “politica”: DeLillo, Genet, Pasolini, Fassbinder… (…) Ma il “teatro” non nasce mai dal teatro e nemmeno “l’arte” nasce solo dall’arte. Il motore primo che spinge Motus in un viaggio ormai più che decennale, è sempre un bisogno e un’istanza di “realtà”. I Motus corrono i nostri tempi con affanno e leggerezza, sanno pattinare sulle superfici del contemporaneo, ma sono sempre pronti a conficcarsi in profondità, a incunearsi là dove si manifestano le ferite e le contraddizione dell’umano. (Rodolfo Sacchettini)
Se il tema del viaggio è sempre stato una costante del percorso artistico di Motus – i deserti e i motel americani per la trilogia Rooms – l’indagine sulle periferie delle grandi metropoli si delinea al momento della ricerca su Pasolini. In particolare Come un cane senza padrone (2003), lavoro ispirato a Petrolio, ha inaugurato una nuova fase di studio documentario ai margini delle città, alla scoperta di testimonianze e denunce delle varie e complesse realtà sociali che li popolano.
All’origine di questo spettacolo c’è un viaggio, fatto nelle periferie di Roma e Napoli con un camper attrezzato di tre telecamere sul parabrezza, che filmavano sincronicamente i paesaggi desolati descritti da Pasolini, a distanza di trent’anni, proprio per registrarne le mutazioni e le permanenze.
Dagli incontri avvenuti nei campi rom e con bambini abituati a giocare fra rifiuti e scarti di un centro-città per loro “cosmicamente” lontano, si è originata l’idea di continuare successivamente l’indagine fra i giovani delle periferie italiane ed estere.
Anche il successivo progetto dedicato a Fassbinder, inaugurato nel 2005, è accompagnato da una videoinstallazione dal titolo Piccoli episodi di fascismo quotidiano che raccoglie decine e decine di videoracconti di giovani incontrati durante workshop tenuti in Italia, Francia e Belgio.
Giovani e periferie: perchè questo tema da anni ci attira? Forse e semplicemente perchè il nostro stesso teatro è nato in piccole sale prove di periferia, in luoghi dimenticati dalle amministrazioni locali, ricavati da vecchi spazi industriali fatiscenti in attesa di essere abbattuti o recuperati… Sempre in provincia, sempre fuori dai grandi centri: ci siamo mossi ai limiti, ai confini estremi fra città e campagna. E proprio in questi territori in trasformazione abbiamo trovato la libertà necessaria da tempi, richieste e aspettative di mercato, costruendoci con scarti e materiali di recupero, i nostri mondi paralleli, spesso deliranti…
Oggi non si può più parlare di periferia in senso lato, in genere si intende un ambito metropolitano vasto, spesso associato all’idea di degrado estetico e formale, di edilizia senza qualità, di inadeguatezza dei servizi, contrapponendovi un centro qualificato e portatore di segni e tradizioni storiche… Ma spesso oggi i centri sono ancor più invivibili perchè lottizzati e vampirizzati dai turisti, resi finti e disneylandizzati.
I centri delle grandi città d’arte stanno vivendo una fuga all’esterno degli abitanti, e non certo nei quartieri dormitorio, ma in nuove cittadelle felici, residenziali, create ad hoc per simulare a loro volta piccoli centri o piazze soddisfatte, ricche di negozi ma del tutto prive di ciò che la città offre, ovvero cinema, biblioteche, circoli letterari:
Voglio osservare la vita quotidiana di questo luogo depurato. I passanti sono troppo occupati a correre da un negozio all’altro per accorgersi di me. A guardarli sembrano ricchi e contenti mentre si muovono a passo sicuro in una cittadina di negozi, piccoli supermercati e piante artificiali. Una città senza giornali che svolazzano per le strade, nè cacche di cane o macchie di chewin-gum… un luogo dove è impossibile prendere a prestito un libro, andare a un concerto, dire una preghiera, consultare gli archivi dell’anagrafe o fare beneficenza… qui il tempo e le stagioni, il passato e il futuro sono stati aboliti… In poche parole l’ultima frontiera del consumismo. O meglio, una cattedrale consacrata al consumo, con molti più fedeli delle chiese cristiane…(J.G.Ballard, Regno a venire)
Ballard negli ultimi suoi libri analizza proprio quest’ultima periferia, agglomeratasi attorno ai grandi centri commerciali, una periferia per i ceti medi pseudobenestanti, che nulla ha a che vedere con la Nuova periferia pasoliniana, nè con le zone ripopolate da extracomunitari clandestini, o i quartieri dormitorio di Milano… Un interland in continua trasformazione che, come afferma Goffredo Fofi, è: (…) Unito da una rete di strade e autostrade dove si consumano veloci sacrifici umani con l’apoteosi degli incidenti (…).
Una socialità ridotta alle tensioni spesso criminali fra condomini e dei vicini di villetta e alle piazzole davanti o dentro i supermercati, alle multisale e alle discoteche per branchi in transito e per gli incontri senza storia, stonati dal rumore delle droghe, dalla teleguidata frenesia del consumo. Ma forse – aggiunge – questi, per reazione, possono essere anche gli spazi delle ultime resistenze. Le periferie sono il luogo di una complessa ed esplosiva vitalità, che è venata certamente di morte: ma dal labirinto delle periferie è forse, (forse) ancora possibile non uscire, ma trovare la convinzione del “non ci sto”, l’energia della rivolta.
Introduzione
A partire dalla primavera 2007 Motus ha quindi dato avvio a una specifica ricognizione, documentaria, sull’adolescenza: il progetto “X(ics)” con sviluppo triennale, da cui scaturiranno quattro spettacoli, un film e svariati piccoli eventi installativo-performativi.
Il nuovo viaggio intrapreso vuole indagare i terreni del consumo dei corpi, il passaggio del tempo dall’adolescenza all’età adulta, i mutamenti che questo comporta nell’individuo, sulla sua pelle, nelle sue passioni, nel suo rapporto con gli oggetti e con il mondo. L’indagine sulla X – lettera negata o ultima lettera dell’alfabeto latino, lettera che si usa per annullare, sottendere un vuoto, oppure svelare, lettera che indica anche ciò che dai ricordi è stato cancellato, per paura, censura o divieto morale – è allo stesso tempo l’indagine su una generazione che decora di teschi tutto il suo campionario d’abbigliamento, avanzando verso il sogno sempre più ritualizzato e mediatico dell’allontanamento della morte, del rifiuto della vecchiaia, di un corpo imperfetto. L’assenza di tolleranza per il diverso, anche per il “proprio corpo diverso” dagli imperativi di bellezza e sicurezza vigente, è ancora inscrivibile nel percorso di ricerca sul “fascismo quotidiano” intrapreso negli ultimi spettacoli dedicati a Fassbinder, ma il viaggio dentro la X accoglie in più la caustica interrogazione dell’ultimo libro di James G. Ballard Regno a venire, ovvero: “può il consumismo tramutarsi in fascismo?”.
X(ics) nasce quindi come progetto composto da passaggi di tempo, time-lapse ostinati e accumulabili, come cartografie immaginarie di corpi immersi nelle inquietanti urbanizzazioni periferiche. Nelle residenze del gruppo, Silvia, protagonista dello spettacolo, realmente va in strada, si sposta alla velocità dei suoi rollerblade per incontrare gruppi di sconosciuti che aderiscano a una “partitura fisica di emergenza”, per affrontare il disastro finale, l’ora X del pianeta; ed è proprio all’interno di uno di questi spostamenti che Silvia ha incontrato l’argentino Sergio, commesso del boowling di una multisala, poi entrato a far parte dello spettacolo sebbene non avesse mai avuto esperienze teatrali… Il nucleo concettuale del progetto viene continuamente spostato e rielaborato, a seconda dei diversi linguaggi e delle possibili declinazioni relative ai contesti e agli incontri in corso d’opera, assumendo di volta in volta vari formati espressivi come:
RUN una video-installazione per due schermi in cui Silvia pattina instancabilmente sul catrame di anonime strade come in un unico interminabile viaggio in una periferia infinita che dall’Italia, senza soluzione di continuità, lambisce i territori francesi, tedeschi ed est europei… La prima versione è stata presentata alla mostra del Convegno tenutosi a Bellaria nel novembre ’07, nell’ambito del progetto europeo di Cultura 2000 “Architecture and Society of Holiday Camps. History and perspectives”, indetto dal Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale dell’Università di Bologna;
comICS un fumetto sullo spettacolo, la prima versione è stata pubblicata sulla rivista francese Lux, edita dalla Scène National di Valence che ha coprodotto il secondo movimento;
Crac la performance per pixel e danzatrice, che è stata presentata nel maggio 2008 al MADRE, il nuovo museo d’arte contemporanea di Napoli e avrà circuitazione in gallerie e spazi dedicati alle arti visive;
Ics_Note per un film un mediometraggio tratto dal primo movimento di X(ics) Racconti crudeli della giovinezza, che è stato presentato al Festival TTV di Riccione e nell’ambito di “Filme der Welt zu Theater der Welt” ad Halle (D) nella primavera 2008;
ICS Libro/Dvd sarà prodotto e pubblicato nel 2009/2010, in esso confluiranno estratti video dai tre movimenti realizzati per la prima fase del progetto con vari extra, fra cui video dei giovani gruppi musicali incontrati e filmati nel corso dell’indagine documentaria e vari backstage.