Rimini > Halle-Neustadt video-installazione per due schermi
Noi siamo erbacce, piante vagabonde che muoiono in un posto per rinascere uguali poco dopo. Siamo sempre là dove non le si aspetta. Erbe testarde, cornute. Noi siamo erbette polverose che stanno tra il catrame e i bordi dei marciapiedi. Ci puoi schiacciare ma non si muore per così poco. E se ti secchi, poco più in là, sotto la panchina, altre si formano.
Piantine che viaggiano, si spostano in silenzio, seguendo i venti. E il vento non si governa. In aria ci incontriamo con cartacce e fumo di sigarette, con capelli e nuvole di forfora, in aria siamo con tanti altri insettini vagabondi e virus influenzali, andiamo. Dove ci porta il vento. E il vento non si governa.
Noi non siamo di fondo, ne qui e ne là. Noi non stiamo di fondo. Ci muoviamo e basta.
No, noi non stiamo e non siamo di, non siamo delle case, delle famiglie, degli stati e dei padroni, no, noi non siamo di nessuno e non stiamo da nessuna parte. Chi ci vuole ci tiene per un po’, e se poi si stanca siamo sempre prima noi ad andare.
E più che andarsene da è un partire continuo per, un essere in.
Sempre tra, sempre con, sempre in, mai qui per sempre, per fermarsi… a fare che? Ricami mortuari, punto a croce del trapasso, del tempo andato così, a passare del tempo a dire come vorrei… potrei… direi… farei… e intanto non faccio, non dico, non posso…
È così che il declino comincia, quando non hai più tanta voglia di andare.
RUN è un percorso a latere, parallelo. Un fantomatico itinerario fra zone residuali e aree indistinte, dalle colonie in disuso della Riviera adriatica, agli spopolati quartieri della ex-DDR, da Berlino est ad Halle, dove ha trovato conclusione X(ics) Racconti crudeli della giovinezza, al Festival Theater der Welt.
Un esserino asessuato pattina fra rovine di epoche andate, non preistoria, ma passato recente, dal ventennio fascista al dopoguerra del boom: epoche di costruzioni, distruzioni e ricostruzioni selvagge… epoche del dominio del cemento.
I rollerblade tracciano perimetri di zone in attesa di riconversione, destinate all’abbattimento o a radicale trasformazione, luoghi che contengono tracce di vite e organizzazioni trascorse, spazi tra, indecisi, privi di vera funzione, sui quali è difficile posare un nome.
Spazi del non più: non sono né del territorio dell’ombra né di quello della luce… stanno ai margini.
Luoghi dall’aria pesante di polveri, di parole dette, di cibi consumati male, di tanto lavoro e fatica alle macchine: luoghi che raccontano del loro essere in disparte dal mondo dei vivi.
Sono gli spazi dove vanno i bambini a giocare, esplorare, scovare mostri, streghe cattive e carcasse di morti animali, luoghi dove vanno i ragazzi per i primi baci, le prime seghe, le prime canne…
Luoghi dove vivono quelli che, veramente, non hanno una casa, e poco poeticamente cercano vecchi materassi sui cui dormire o angoli in cui defecare…
Luoghi operai di schiavitù e dimora, di piccole abitazioni per pacchi formato famiglia, o edifici-vacanza per figli di operai deportati in massa su spiagge come lager, dalle reti di recinzione sfiancate dai venti e dai colpi di RUN è questo triste andare per.
Vagabondaggio, poetica esplorazione, vago glandeur fra resti, che per occhi giovani, abituati alla plastica degli schermi, assumono un fascino tetro da fine del mondo vicina o appena avvenuta, una mattina di sole…