Catrame

1996

con Giancarlo Bianchini, Enrico Casagrande, Daniela Nicolò, David Zamagni, Cristina Zamagni

regia END

realizzazione scenica/sonica A – ZAT

archivio visivo BAR-BITURICI

grafica & collegamenti DNA

produzione Associazione Culturale MOTUS – ONLUS Rimini

“L’unico spettacolo è dato dall’attesa e dallo sforzo… concentrato nella posizione dello scatto il corpo non ha sbocchi, non ha dove dirigersi…”
G. Deleuze (da ” La logica della sensazione”)

Catrame è ispirato e dedicato a La mostra delle atrocità di James G. Ballard, scrittore di fantascienza che ha indagato le trasformazioni della società moderna e la comunicazione mediatica. La scelta di lavorare su un autore contemporaneo deriva dalla necessità avvertita dal gruppo in quegli anni, di interrogarsi su un mondo in veloce cambiamento, su un rapido boom delle tecnologie che stava alterando completamente il rapporto dell’uomo con l’esterno.

Nasce così l’idea di costruire una scatola di plexiglas di otto metri per tre in cui racchiudere il corpo dell’attore, un corpo che diviene macchina, strumento.

L’intera performance si svolge all’interno di questo box trasparente, rifrangente e abbagliante in cui le percezioni visive e auditive vengono sprigionate in maniera scomposta, alterata, sincopata.
Un uomo nudo coperto di perizoma, protezioni a ginocchia e gomiti, un collare borchiato, e scarpe da ginnastica compie movimenti spasmodici, violenti, aggressivi contro la struttura nella quale è rinchiuso. Schianti contro le pareti, brusche cadute sul pavimento. Un altro uomo e una donna si introducono nello spazio trasparente. Lei fotografa i movimenti e le espressioni dell’attore e poi gli mostra delle polaroid istantanee. Lui si accanisce contro il corpo dell’attore con frustate, calci, pugni.

Al centro di tutto vi è il corpo: un corpo che viene fotografato (ancora una volta la presenza estranea dell’”occhio belva”) e compromesso. Il lavoro sul fisico e del fisico è sconcertante. Gli atteggiamenti violenti oscillano tra le più sadiche immagini fetish e i più sacri simboli cristologici. Tuttavia questa attenzione e violenza sul corpo del trans-attore non appare solo provocata dall’esterno (i due intrusi) ma è anche autoreferenziale, tutta interna al protagonista che si autoinfligge costrizioni e torture. Ridendo.

Se tutta l’operazione rimanda a molte esperienze della body art, per certi versi se ne allontana proprio grazie a questo sorriso, sfacciato e sfrontato, a dimostrazione che non vi è nulla di tragico, nulla di serio, ma una grande ironia. Vengono alla mente le immagini di Crash di Cronemberg, il film in cui i protagonisti provavano piacere a ferirsi durante incidenti d’auto: ogni lesione diveniva motivo di vero e proprio orgasmo collettivo.
Qui, il sadomasochismo diviene autolesionismo attraverso gesti violenti perpetrati sulla propria carne. Allo stesso tempo il corpo maschile diviene femminile: tacchi a spillo ai piedi, rossetto alle labbra.

Ma non ha senso parlare di generi poiché quello che si vede è semplicemente un corpo, dalla esasperata, ambigua, promiscua ma soprattutto neutra sessualità. Un corpo in mutamento o mutazione che rimanda alle più sfrenate sperimentazioni dell’arte visiva, della performance, della body art. Un corpo post-organico che prende ispirazione dal vidoclip e dalla fantascienza, dalla pittura di Bacon e dalle profezie mediologiche di Baudrillard. Il plexiglas della scatola invita a una fruizione mediata – quasi ovattata – dello spettatore che si sente in qualche modo difeso, ma che si trasforma in voyeur che scruta una vetrina dietro alla quale è esposta la mostra delle atrocità.

Luci strobostopiche e distorti suoni di musica techno enfatizzano la claustrofobia e tutto lo spettacolo si esplica in una straziante ed ironica modificazione sincopata della realtà postmoderna.

presentazione cura di Patrizia Bologna

Note di regia

«L’unico spettacolo è dato dall’attesa e dallo sforzo… concentrato nella posizione dello scatto il corpo non ha sbocchi, non ha dove dirigersi…».

G. Deleuze (da La logica della sensazione)

Salto nel vuoto, tuffo negato, corsa assassina e rovinosa. Respiro, scompenso di corpi in preda all’iperossigenazione, voci sincopate, congestionate dal ritmo della reiterazione – senza rappresentare, senza simulare – situazione limite, estrema, di progressiva deteriorazione. Parliamo dell’attore, cominciamo matematicamente dalla “parte mobile” della costruzione. IL CORPO NEL CAMPO OPERATIVO (DELLA SCENA): inCatrame il corpo è tutto. Tutto è fondato sui limiti del corpo e del sesso, sul limite della scena, per precipitare nell’”osceno”, sul limite dell’estetica per superarla nel “transestetico”, sul limite della “bellezza”, per esporre quella “brutalità delle cose” di cui tanto parla Bacon. Superare il gesto, “l’atto teatrale”, nella sua più inutile affettazione, precipitare verso situazioni estreme di stanchezza e distruzione fisica, non “esercizi”, però, ma esplosioni di porzioni spazio-temporali… rendere “lo stare”, “l’esserci” sempre più vero, e lasciarlo consumare per esaurimento…

Questo corpo deturpato dal tempo e dall’incombenza dello spazio, compariva già nel grande ipertesto de L’occhio Belva ed ancor prima in tutti gliAccadimenti. E questo stare, nel virus del QUI ED ORA è sempre stato sottolineato, scandito, ribadito: dalla voce che conta ogni minuto in Strade Secondarie, all’ora esatta dell’161 in tutto il progetto Sulla necessità dello sguardo, sino al grande display luminoso che indica data, ora e temperatura, altra variabile fondamentale, quasi quinta dimensione beckettiana, inCatrame

…ossessioni, ossessioni, legarsi alle proprie ossessioni è l’unica strada, è quella su cui si possono fare incontri determinanti: prima Beckett, ed ancora, oggi, più che mai… poi Ballard, Baudrillard e Bacon…

…questa serie di B che entra ed esce dal teatro, che si interseca, si miscela, si incontra sui pochi, denudati elementi che vanno di volta in volta a scolpire le domande che sottendono ogni spettacolo. E tutto va e tutto torna in forma sempre diversa, opposta a volte: in Catrame il rapporto con lo spazio è sconvolto rispetto a tutti i precedenti lavori – IL CAMPO OPERATIVO DEL CORPO è chiuso, separato dall’ambiente esterno da tutti i lati, una sorta di cella d’isolamento, di sala sterilizzata in plexiglas, sottovuoto, come sottovuoto è la percezione continua che abbiamo del mondo, dall’abitacolo dell’automobile allo schermo televisivo.

Scatola geometricamente perfetta, modulare, che scompone, con le linee della struttura portante, il movimento, come negli esperimenti fotografici di Muybridge, “fantasie Zenoniane sul moto” …che altera la percezione visiva e sonora, spostando, ritardando ed amplificando ogni minimo rumore… che funzione da grande vetrina, exhibition, mostra (delle atrocità) in omaggio a J.G. Ballard, autore – non di teatro, ma di fantascienza, o meglio «di una scrittura veramente cosmopolita, che attinge la sua forza da uno sguardo impietoso e disincantato sulle tendenze unificanti della cultura planetaria…»come scrive Caronia nell’appendice a La mostra delle atrocità, il romanzo a cui Catrame è principalmente ispirato.

 

©Cristina Zamagni

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