Lo spettacolo trae ispirazione, pur non rispettandolo in pieno, dallo straordinario libro di Don DeLillo Rumore bianco, anche se in realtà, è soprattutto pre-testo per fare un lavoro di destrutturazione narrativa.
La scelta tematica invece è centrale e di sintomatica significanza: il progettoRooms è solo una continua riflessione sulla morte. La morte in occidente. La morte dell’occidente. Fra le braccia dell’America. Fra i sorrisi di gomma degli attuali governanti… E questo rumore bianco di fondo, che si sente ovunque, in tutti i luoghi chiusi con impianti di condizionamento, dai centri commerciali alle stanze d’albergo…..è il rumore della morte, è il tragico risuonare di quel senso di vuoto perenne, di quella inadeguatezza dell’essere di fronte alle cose, che diventa condizione esistenziale in un periodo critico in cui essere morti o essere vivi è la stessa cosa (Pier Paolo Pasolini).
Ti uccido per acquistare carica vitale (De Lillo) e poi lavo le macchie di sangue sulle mattonelle e della tua morte: nessun segno. è una morte che acquista incredibile fascino anche nel suo lato estetico, pare quasi dipinta su un quadro pluridimensionale, un punto limite tra essere e non essere, tra realtà e finzione: da qua la scelta di lavorare sulla strettissima linea di confine fra real cinema e teatro; la room, proprio per la doppia connotazione, assume una forma di realtà nuova, violenta, dove esistenza ed oggettività fuoriescono dalle categorie “vero-falso” e tutti i componenti si scambiano, così come le coordinate spazio/temporali, in un gioco di incastri e destabilizzanti relazioni dove cinema e letteratura convergono, collidono e si fondono.
Come tappa finale del progetto, giungiamo al punto estremo dell’eliminazione degli attori e dello spazio fisico da essi occupato: scompare la room in alluminio e restano soltanto gli schermi a contenere le loro presenze digitali: uno per la camera da letto ed uno per il bagno, così come stanno solitamente, affiancati o sovrapposti, alla stanza reale. La stanza è composta dai due schermi, piatti, su cui vanno in onda le registrazioni integrali del montaggio dello spettacolo nella replica a Le Lieu Unique di Nantes.
Su altri 5 piccoli monitor sincronizzati scorrono le registrazioni di tutte le altre telecamere che riprendono gli attori durante il tempo dello spettacolo e che vengono montate in diretta durante la performance. Si ricrea ciò che, durante lo spettacolo, arriva ed esce dalla regia video, nella quale confluiscono differenziate fonti d’immagine, più esattamente:
1 – le riprese di Barbara Fantini, la cameramen con Canon XL1 che dalla platea segue – con campi stretti – tutti i movimenti degli attori nella camera da letto;
2 – le riprese di Daniele Quadrelli che, con una Sony 900, registra tutte le azioni degli attori nel bagno;
3 – l’immagine-soggettiva di Vladimir Aleksic, l’attore che con un’altra Sony 900, agisce direttamente sulla scena dialogando e rapportandosi agli attori nelle vesti di un ambiguo cameramen, una sorta di Voyeur interno;
4-5 – le registrazioni delle piccole camere di controllo “da banca” situate rispettivamente all’interno della stanza e del bagno, che rimandano un’immagine fredda, assolutamente impoetica e documentativa del fare teatrale, distanziandolo, collocandosi da un punto di vista diverso, comunque sempre interno, rispetto a quello del pubblico che è situato di fronte.
Una sorta di autopsia dello spettacolo, che appare così sventrato, completamente aperto e svelato, dal momento che sono visibili anche tutti i backstage, le pause, ciò che il pubblico – a teatro – non è abituato a vedere.
Come tappa finale del progetto, i Motus giungono al punto estremo dell’eliminazione degli attori e dello spazio fisico da essi occupato: scompare la room in alluminio e restano soltanto gli schermi a contenere le loro presenze digitali: uno per la camera da letto ed uno per il bagno, così come stanno solitamente, affiancati o sovrapposti, alla stanza reale. La stanza è composta dai due schermi, piatti, su cui vanno in onda le registrazioni integrali del montaggio dello spettacolo nella replica a Le Lieu Unique di Nantes. Su altri 5 piccoli monitor sincronizzati scorrono le registrazioni di tutte le altre telecamere che riprendono gli attori durante il tempo dello spettacolo e che vengono montate in diretta durante la performance. Si ricrea ciò che, durante lo spettacolo, arriva ed esce dalla regia video, nella quale confluiscono differenziate fonti d’immagine, più esattamente:
1 – le riprese di Barbara Fantini, la cameramen con Canon XL1 che dalla platea segue – con campi stretti – tutti i movimenti degli attori nella camera da letto;
2 – le riprese di Daniele Quadrelli che, con una Sony 900, registra tutte le azioni degli attori nel bagno;
3 – l’immagine-soggettiva di Vladimir Aleksic, l’attore che con un’altra Sony 900, agisce direttamente sulla scena dialogando e rapportandosi agli attori nelle vesti di un ambiguo cameramen, una sorta di Voyeur interno;
4-5 – le registrazioni delle piccole camere di controllo “da banca” situate rispettivamente all’interno della stanza e del bagno, che rimandano un’immagine fredda, assolutamente impoetica e documentativa del fare teatrale, distanziandolo, collocandosi da un punto di vista diverso, comunque sempre interno, rispetto a quello del pubblico che è situato di fronte.
Una sorta di autopsia dello spettacolo, che appare così sventrato, completamente aperto e svelato, dal momento che sono visibili anche tutti i backstage, le pause, ciò che il pubblico – a teatro – non è abituato a vedere.