Splendid’s debutta nel maggio 2002 al Grand Hotel Plaza di Roma in occasione del Festival “Cercando i teatri” organizzato da ETI (Ente Teatrale Italiano) e Teatro Valle.
Al settimo piano del famoso albergo di Via del Corso e di fronte a un ristrettissimo gruppo di spettatori (una quarantina ogni volta) otto gangster armati di mitra, vestiti di abiti neri o gessati – griffati Costume National – si trovano all’interno di una suite per una storia di rapimenti e sparatorie. Per una circostanza non chiarita, uno di loro ha ucciso una ricca ereditiera americana che tenevano in ostaggio. Anche il pubblico assiste e viene coinvolto in questa azione, anche lui vittima e ostaggio di questi famosi criminali. Asserragliati in questo luogo da giorni, tra lussuosi lampadari, bottiglie di vino, bicchieri e sigarette, mettono in moto dinamiche di piccoli tradimenti e lotte vane, al ritmo di estenuanti valzer.
Tra di loro spiccano Jean, detto Johnny, il capo della banda “La Rafale” che guida le danze; Scott, morbosamente preoccupato di ascoltare i notiziari radiofonici che raccontano della loro efferatezza; Pierrot, sconvolto dalla morte del fratello di cui cerca di rivestire i panni; lo sbirro, che sceglie di passare dalla parte dei criminali per un’attrazione feticistica verso la violenza. Nei trentasette minuti che mancano alla fine della leggenda de “La Rafale” si consumano tradimenti e voltagabbana, sinuose danze macabre, appetiti sessuali non soddisfatti, e soprattutto trasformazioni, passaggi. Il passaggio del poliziotto dall’altra parte della barricata, ma anche il passaggio di Jean che da capo della banda ne diventa cap(r)o espiatorio o vittima, costretto a travestirsi da donna, nei panni dell’ereditiera, per convincere le forze dell’ordine che quella sia ancora viva. La camera d’hotel, come nella miglior tradizione di film d’azione, si trasforma in una prigione senza via di fuga: le tende di velluto ben chiuse per non essere visti dai tiratori scelti, le bottiglie vuote sparse sul pavimento in marmo, il letto disfatto e il generale disordine.
Tutta la vicenda, come si può immaginare, finisce male. Il poliziotto corrotto, per salvare la pelle, torna sui propri passi e sancisce così la morte de “La Rafale”. Gli spettatori, inizialmente vittime e prigionieri dei gangster, si trovano a svolgere il doppio ruolo di voyeurs ma anche di testimoni oculari e assistono, senza parole, alla disfatta finale.
Genet non sopportava di vivere in una casa propria, in un appartamento ammobiliato e, sino alla morte, ha preferito le camere d’albergo. Già questo aneddoto sarebbe stato sufficiente ad attirare l’attenzione dei Motus, da qualche anno impegnati nel progetto Rooms. è la prima volta che il gruppo sceglie di mettere in scena un testo teatrale per intero, un copione drammaturgico integralmente. E, ironia della sorte o paradosso, la pièce non viene allestita in uno spazio teatrale, bensì in un non-luogo come l’albergo. Se fino a quel momento le varie tappe del progetto basate su una drammaturgia iconografica e frammentata avevano trovato ospitalità in teatri tradizionali, quando arriva il momento di recitare – nel senso più classico del termine – ci si sposta, si migra dal luogo a questa azione deputato, per osare altrove, creando uno spaesamento semiotico sia interno che esterno.
Scritto nel 1948 ma ritrovato solo negli anni Novanta del secolo scorso,Splendid’s mette in scena le più tragiche ossessioni dello scrittore francese: il tradimento, il travestitismo, la sessualità, la violenza fisica e verbale, l’inesorabile necessità della morte. Ma il testo racchiude anche il profondo rifiuto dei clichè e delle regole della società: dopo essere stati descritti dai media come bruti carnefici dalle azioni efferate, i sette gangster si lasciano trascinare timidamente fuori dall’albergo come cagnolini al guinzaglio, quasi a dimostrare il contrario di quanto comunicato dai notiziari. Ancora una volta, nelle scelte dei Motus è presente la morte. Ma se negli spettacoli precedenti essa era evocata e in qualche modo esorcizzata, qui non solo è continuamente presente nei discorsi degli otto gangster ma è una vera e propria presenza fisica che prende le sembianze della miliardaria uccisa: sempre sulla scena, figura feticcio e simbolo della paura che pervade tutti gli uomini.
In questo allestimento – fedelissimo alle idee e ai valori di Genet – qualsiasi stato dell’essere può trasformarsi nel suo contrario: così i ruoli e i generi appaiono continuamente interscambiabili confondendosi abilmente, sia nell’aspetto esteriore, sia nelle dinamiche tra i protagonisti: femminile e maschile hanno contorni sfumati, così come pure la differenza tra carnefice e vittima, tra vivi e morti ha confini labili e valicabili.
Con una straordinaria colonna sonora rigorosamente francese, gli otto gangster – prigionieri della loro stessa violenza più che della polizia – si insultano, estraggono mitra dal chiaro simbolismo fallico, esibiscono il loro machismo ballando al ritmo delle canzoni di Edith Piaf, di Barbara (prediletta da Genet) e della bigiotteria di Pascal Comelade: tango, minuetto, rumba, lambada. La danza dei gangster è il tratto più caratteristico della recitazione: piccoli passi e volteggi, ampi gesti e piroette fanno da sfondo a qualsiasi dialogo – sempre serrato e quasi cinematografico – colorandosi talvolta di tinte sensuali tale altre di orrida violenza.
Un ritmo cinematografico nei dialoghi avrebbe forse richiesto un mezzo cinematografico. E invece no, anche questa volta i Motus spiazzano lo spettatore abituato, in tutto il progetto Rooms, alla presenza delle videocamere in scena. Se in questo spettacolo il gruppo rinuncia alla macchina da presa e allo schermo, il richiamo all’ottava arte è presente per i numerosi rimandi iconografici: se l’ambientazione ricorda Scarface di Brian De Palma, i dialoghi rimandano a un certo sapore tarantiniano de Le iene, mentre l’ironia della danza può evocare certi passaggi di Arancia meccanica.
presentazione a cura di Patrizia Bologna
Note di regia Splendid’s
“Rimarremo il vostro rimorso. E senza nessun altro scopo che abbellire ancora la nostra avventura, perché sappiamo che la sua bellezza sta nella stanza che ci separa da voi, perché dove accostiamo noi, lo so, i lidi non sono affatto diversi, ma noi vi distinguiamo, ben ancorati alle vostre rive, piccoli, smilzi, rancorosi, indoviniamo la vostra impotenza e le vostre benedizioni. D’altronde rallegratevi.
Se i cattivi, i crudeli, rappresentano la forza contro cui lottate, questa forza del male vogliamo essere noi. Saremo la materia che resiste, senza cui non ci sarebbero artisti”.
Jean Genet, L’infanzia criminale
(commissionatogli dalla Radio Nazionale Francese, che poi rifiutò di mandare in onda. Genet lo pubblica in forma scritta nel ’49)
Le ultime ore da “vivere in grande stile” all’Hotel Splendid’s, dove sette gangsters, capeggiati da Jean (Genet)/Johnny, tengono in ostaggio una ricca ereditiera americana con il sostegno di un poliziotto che decide di “rivoltarsi come un guanto”, esplodono in tensioni e complotti, invidie e follie. La banda Rafale precipita in un estenuato valzer dei tradimenti.
Lotte vane, piccole, fallimentari, ma del resto cosa non è vano in questo mondo? Lei morirà, io morirò, loro moriranno.
Splendid’s è una elegante danza funebre, che ha per fulcro il passaggio all’altra sponda, che sia quella del crimine, dell’omosessualità, della diserzione, della debolezza, della rottura delle convenzioni borghesi, che, inevitabilmente, quella dell’assassinio o del suicidio. E qui emerge un tagliente punto d’unione con Twin Rooms, dove l’interrogativo di DeLillo
“Tu sei un assassino o uno che muore?”
Trova altre risposte.
Inferni a fior di pelle
Lo spettacolo può essere accompagnato dall’organizzazione di un incontro pubblico curato da Luca Scarlini su Jean Genet, intitolato Inferni a fior di pelle, presentato per la prima volta in occasione del Festival Santarcangelo dei Teatri il 7 luglio 2002.
Inferni a fior di pelle – parole e immagini di Jean Genet
a cura di Luca Scarlini
Jean Genet, artista in rivolta, ha lasciato un segno indelebile nella sua opera di ribellione contro le storture e i soprusi del mondo. Dalla rappresentazione di sé come travestito impossibile in Diario del ladro in poi, la sua opera è tessuta di grida di protesta, per cui sarà sostenitore del Black Power (resta indimenticabile la sua prefazione alla raccolta dei Fratelli di Soledad) e della causa palestinese (impossibile dimenticare il suo durissimo 24 ore a Sabra e Chatila).
Luca Scarlini ripercorre con l’ausilio di materiali video spesso molto rari lo straordinario percorso di testimonianza genettiano.